di Pasquale Buonpane

Sulle vette più elevate del Matese, oltre il limite in cui crescono alberi e arbusti, troviamo le praterie d’alta quota. Le piante che vivono in questi ambienti estremi hanno origini assai varie, ma in un certo momento della loro storia evolutiva si sono ritrovate tutte a dover risolvere gli stessi problemi per poter sopravvivere, “problemi” legati soprattutto al clima. Queste particolarissime specie vegetali, nel corso di milioni di anni, hanno escogitato una serie di espedienti per resistere in ambienti così difficili. Le particolari condizioni climatiche delle vette sono così selettive da fare in modo che la sopravvivenza dei vegetali sia continuamente messa alla prova.

Ma quali sono i fattori che rendono così difficile la vita delle piante d’alta quota e quali trucchi hanno escogitato per riuscire a conservarsi? In condizioni normali, la temperatura media diminuisce di circa 0,5° C per ogni 100 metri di altezza; si comprende quindi come le basse temperature siano uno dei fattori più limitanti per le piante. A questo va aggiunto che l’escursione termica tra giorno e notte è molto più marcata rispetto alle zone di pianura e che il vento è spesso costante e più sostenuto. La stagione estiva è molto breve e va considerato che al di sopra dei 1.800 metri la neve può cadere quasi in ogni periodo dell’anno. Spesso permane per diversi mesi, abbreviando la stagione vegetativa delle piante che possono iniziare a fiorire solo dopo la sua scomparsa. A quote molto elevate le radiazioni solari sono più intense e possono minacciare seriamente la loro sopravvivenza.

In questi ambienti estremi l’acqua è per gran parte dell’anno presente sotto forma di neve o ghiaccio per cui non può essere assimilata. Durante l’estate, l’acqua presente nel terreno evapora molto facilmente ed è disponibile solo per brevi periodi. Per poter sopravvivere, quindi, le piante devono essere in grado di resistere a cicli di siccità più o meno lunghi. Essere di piccole dimensioni è uno degli espedienti più efficaci e diffusi escogitati dalle piante per sopravvivere nelle roccaglie e nelle praterie d’alta quota. Il nanismo consente di insediarsi anche nelle piccole cavità della roccia sfruttando al massimo lo spazio disponibile; le foglie piccole riducono la perdita di acqua per traspirazione e sono meno esposte alle radiazioni solari. Le piccole dimensioni offrono anche una maggiore resistenza al vento e al peso della neve che danneggerebbero facilmente una vegetazione d’alto fusto. Alcune piante hanno, inoltre, radici allungate in grado di penetrare profondamente nelle fenditure in cerca di acqua consentendo di vivere anche su nude pareti rocciose.

È il caso di Draba aizoides, di Saxifraga exarata e delle altre sassifraghe del Matese. Alcune specie, per resistere alla siccità, hanno sviluppato foglie in grado di accumulare una riserva d’acqua nei tessuti, non diversamente da quanto accade nelle cosiddette “piante grasse”. È ciò che avviene con le varie specie di Sedum e Sempervivum presenti sul Matese ma anche nel caso della bellissima Primula auricula. Molte piante d’alta montagna presentano, invece, foglie ricoperte da una fitta lanugine biancastra che ha il doppio vantaggio di respingere e filtrare la luce solare e formare uno strato isolante che le protegge dal vento e dalla eccessiva disidratazione. La lanugine inoltre trattiene le gocce di rugiada convogliandola verso il centro della pianta. Ne è un esempio la rara Androsace villosa presente sul monte Mutria.

Le piante d’alta quota sembrano dimostrare un attaccamento alla vita fuori dal comune, riescono a fiorire sulla nuda roccia, dove pochi vegetali riuscirebbero a vivere, sono sopravvissute alle glaciazioni e abitano le nostre montagne da molto più tempo dell’uomo. Quando le incontriamo guardiamole con rispetto e ammirazione. In molti casi si tratta di specie protette per legge, evitiamo quindi di raccoglierle o danneggiarle… è l’unico modo per garantire alle generazioni future di continuare a godere di queste incredibili meraviglie della natura.