di Giovanna Campanella

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Quando le mie sorelle mi hanno chiesto di partecipare alla traversata del Matese, non ci ho pensato due volte a dire di sì. Scelta, forse, un po’ azzardata, considerando che di solito ad agosto la meta prediletta dalla maggior parte dei comuni mortali è il mare. Ciò nonostante mi accingo a fare i preparativi per la grande partenza, impresa ben più complicata di quanto pensassi. Uno zaino giornaliero e un altro da caricare sul mitico furgoncino di appoggio. A sentire il peso di quello che avrei dovuto portare sulle spalle mi è sorta qualche perplessità, ma il pensiero che mi attendevano solo tre giorni di cammino, invece dei sette previsti, mi ha un po’ risollevato. E così, dopo il panico iniziale, è arrivato il momento fatidico.

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Il primo giorno della traversata. Appuntamento ore 7:30, stazione di Piedimonte Matese. Incontriamo alcuni membri del gruppo con il quale avremmo condiviso paesaggi mozzafiato, risate, banchetti appetitosi, ma anche molta fatica. Finalmente pronti, ci dirigiamo verso la meta da cui avrebbe avuto inizio il nostro viaggio: Valle Santa di San Lorenzello.

Dall’auto intravediamo la famosa “leonessa”, una montagna la cui forma ricorda quella di una leonessa seduta di profilo, che in realtà dovrebbe essere un leone, data la criniera, ma al femminile infonde tutto un altro fascino! Accompagnati da due guide alpine di prim’ordine, Sandro e Alessandro, alle 9:45 ci mettiamo in marcia e, appena qualche minuto dopo, si alza una voce dal fondo: “Propongo una sosta!”. E scoppia una sonora risata collettiva! Non sembra proprio l’atteggiamento giusto per affrontare una traversata appena cominciata, ma non manca una buona dose di ironia che non può che far bene. Sandro ci introduce nello spirito dell’avventura incitandoci a lasciare dietro di noi uno zaino pieno di ansie e metterne in spalla uno carico di entusiasmo e voglia di scoprire; per poi avvisarci delle tre tipologie di caduta preferibilmente da evitare, ovvero: il “solletrone”, scivolata all’indietro, stile buccia di banana; lo “spontapere”, inciampo in avanti, tipico del malefico gradino passato inosservato; e l’“accoppamusso”, caduta rovinosa che non dà il tempo di mettere le mani avanti! E intanto tutti ci siamo augurati di non sperimentarne qualcuna nuova. leonessa

Il tragitto della prima tappa è Valle Santa, Civitella Licinio, Forre di Lavello, Cusano Mutri. Il totale dei chilometri resta un mistero, probabilmente per non spegnere il nostro entusiasmo. Sandro ci descrive il paesaggio nel quale ci saremmo addentrati, un paesaggio variabile a seconda delle diverse aree del Parco regionale del Matese. Siamo nella zona di Cusano Mutri – Cerreto Sannita, dove si può ammirare “la Dormiente del Sannio”, il Massiccio del Taburno-Camposauro dalle vaghe sembianze di una donna distesa (ci vuole un bel po’ di fantasia per scorgerla), il Monte Cigno (da cui il nome Civitella Licinio, dal dialetto “de lu cigno”), il Monte Mutria, al confine tra Molise e Campania, la terza cima più alta del Matese (dopo la Gallinola, in Campania, e il Miletto, in Molise) e la Civita di Pietraroja, dove è stato ritrovato Ciro, il piccolo dinosauro diventato la mascotte del Parco, ricca di miniere di bauxite, minerale rosso da cui prende il nome la località. In questa zona, i briganti trovarono rifugio in luoghi ideali come la “grotta delle fate” e la “grotta chiusa” o “dei briganti”.

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In lontananza, si nasconde il noto ponte di Annibale, sul fiume Titerno, dove secondo la leggenda sarebbe passato il condottiero con i suoi elefanti. Nella parte molisana, si può scorgere anche la Morgia, una grossa roccia (ideale per le arrampicate) che dà il nome alla località tra Sant’Angelo del Pesco e Pescopennataro, così chiamato per la vasta presenza di peschi. Proseguiamo fino a Civitella, dove ci imbattiamo nella Chiesa di Santa Maria della Neve, dove ci è stato offerto il pane benedetto in occasione della ricorrente festività. Da lì, scendiamo verso le meravigliose Forre di Lavello, canyon naturali scavati dal fiume Titerno, posto ideale per consumare la colazione a sacco e rifocillare nelle fresche acque i piedi stanchi e costretti in pesanti scarponi. Notiamo il ponte “sprecamugliera”, il cui nome deriva dalla “simpatica” credenza secondo la quale qualche esasperato marito si liberava della propria moglie lanciandola nel vuoto.

 

Dopo la sosta rifocillante, arriviamo a Cusano nel tardo pomeriggio. Ci sistemiamo in tre diversi B&B e poi cena al ristorante, dove “i musicanti del Matese” sono riusciti a coinvolgerci nelle danze, nonostante le gambe scongiurassero pietà, ancora inconsapevoli di ciò che le attendeva la mattina seguente. Partenza da Calvarusio, sosta sul monte Ariola (San Potito) e arrivo a Reale. Facile a dirsi, ma un po’ meno a farsi! Dopo l’immancabile foto di gruppo, al grido di “Adelaide Adelaide!”, ha il via la seconda giornata di cammino. Lungo il tragitto, lasciamo i castagni ed entriamo nell’habitat dei faggi a 1000 m di altitudine. Giunti sul monte Ariola (zona ricca di cardi), che offre una vista stupenda sulla pianura Alifana, sostiamo in un piccolo rifugio dove ci gustiamo i panini preparati dal B&B e molti si lasciano andare a un meritato riposo (sembrava più un dormitorio che un rifugio!). Dopo un’oretta ci rimettiamo in marcia e quando la stanchezza stava ormai prendendo il sopravvento, mi risuona in testa la battuta di Aragorn ne “Il signore degli anelli”, (del resto ci troviamo nella Serra di Mezzo!), suggerita dal lungo e scuro impermeabile che abbiamo dovuto indossare per una breve pioggia improvvisa (il momento più bello e suggestivo della giornata): “Sei risoluto piccolo hobbit, ma questo non ti salverà”. Io mi sentivo proprio quel piccolo hobbit!traversata0

E intanto il paesaggio cambia di nuovo: non solo faggi, ma anche castagni, aceri e quadrifogli, e nel momento in cui inizia a scendere la pioggia, l’abbondante felce che ci circonda ci dà l’impressione di essere immersi in una giungla selvaggia. Ci riposiamo qualche minuto all’antica masseria “Il Tassitello”, ma ci rimettiamo subito in cammino per arrivare a destinazione prima del buio: è il momento di riversare le ultime energie nello sprint finale. Al tramonto, arriviamo finalmente alla masseria “D’Abbraccio” di Reale, dove qualcuno esclama “Altro che rifugio, qua ci vuole un policlinico”! Stavolta infatti i chilometri sono stati 18 e non 10 come il primo giorno, ma recuperiamo presto le forze con un’abbondante cena all’aperto, sotto un fantastico cielo stellato. Una strimpellata di chitarra e poi dritti a nanna, i più fortunati sui pochi letti disponibili, gli altri nei sacchi a pelo. La mattina dopo, la gentilissima ospite della masseria ci ha mostrato come preparare la cagliata di pecora, nome derivante dal caglio, elemento essenziale per la preparazione del formaggio, insieme al procedimento per ottenere la ricotta, ricuocendo una seconda volta il siero usato precedentemente, per poi servircela bella calda su una fetta di pane.

Verso le 11:00 ci rimettiamo in cammino, questa volta in direzione di Monte Orso, la terza tappa della traversata. Con pochissima fatica, arriviamo al vivaio forestale delle “Carboniere” di Castello del Matese, dove ci fermiamo per il pranzo e dopo un breve riposo continuiamo il nostro percorso passando per le “Fascetelle”, un’area attrezzata dove sono soliti accamparsi gruppi di boyscout.

Arriviamo alla “fontana del corvo”, dove i cavalli danno anche a noi la possibilità di sorseggiare quella preziosa acqua gelata! Oltrepassiamo la Sella del Perrone, valico che separa la Campania dal Molise, e ci addentriamo nell’Oasi WWF di Campochiaro- Guardiaregia, un bosco di faggi ad alto fusto che ha reso ancora più piacevole il nostro percorso di 9 km. Nel pomeriggio arriviamo al rifugio di monte Orso, dove ci accampiamo nei sacchi a pelo o nelle tende. La sera, alcuni produttori locali, ci hanno presentato vino e olio che abbiamo potuto degustare insieme alla cena.

Prima di abbandonarci al giusto riposo, ci siamo divertiti a giocare a una caccia al tesoro molto particolare, ma il buio totale, nonostante le deboli torce, ci ha fatto rinunciare (meglio così!) al gioco successivo: il lancio del coltello! La mattina dopo, il mio percorso si concludeva. Ultima foto di gruppo come da rito, e poi a bordo del furgoncino del presidente. Per la strada, si alternavano in me sentimenti contrastanti sulle esperienze fatte (risate, begli incontri, paesaggi stupendi, fatica e buona cucina) e su quelle che avrei potuto fare e alla ricorrente domanda “Lo rifaresti?”, beh! … lascio a voi la risposta!