di Giovanni Capobianco
“Uuuuuh… Uuuuuh…”
Ululati prolungati nelle calde sere di fine estate spezzano la melodia dei grilli che ancora imperterriti sfregano le zampe attivamente. Staranno preparando una battuta di caccia? Si richiameranno tra di loro? Segnaleranno a possibili visitatori il loro territorio? Stiamo parlando di uno dei più misteriosi carnivori presenti al mondo: il lupo.
Questo splendido canide, antenato e progenitore selvatico del più familiare “migliore amico” dell’uomo, il cane, popola il nostro pianeta uno o due milioni di anni fa. Presente in tutti i continenti, ha caratteristiche strutturali proprie per ogni paese nel quale vive. Ad esempio, i lupi nordamericani hanno un corpo molto massiccio, possente, con colorazioni della pelliccia che variano dal nero al bianco. Alle nostre latitudini invece, il lupo si presenta più snello, con colorazioni grigio-bruno e tonalità nere e rossicce. Grande camminatore, in grado di percorrere anche decine di chilometri in una notte, nella nostra nazione il lupo, oggetto di odio e persecuzione, ha vissuto sempre una vita molto travagliata, che negli anni ’70 lo ha portato quasi alla sua estinzione.
Fino alla fine del ‘700, questo predatore era ampiamente diffuso su tutta la penisola, raggiungendo anche le zone costiere. Poi, con l’aumentare della popolazione e dell’espansione dell’uomo, la conseguente bonifica e occupazione di habitat da lui utilizzati lo hanno spinto su nell’ambiente a lui più idoneo: i boschi. Dopo l’avvio delle prime ricerche da parte di esperti negli anni ’70 e il conseguente divieto di “sterminio” con bocconi avvelenati o caccia selettiva della specie, sembra che il lupo stia pian pianino rinfoltendo la sua famiglia. In Campania, il lupo appenninico trova le sue roccaforti nei Parchi regionali e lungo tutto l’arco appenninico, fino al Cilento. Le aree naturali protette dell’Appennino Campano sono collegate da vari corridoi biologici e costituiscono la Rete Ecologica Campana. Tracce della presenza del lupo sono state trovate sui monti del Matese, sui Picentini e sul monte Partenio. Il massiccio del Matese rappresenta il collegamento tra l’Appennino centrale e quello meridionale: infatti, essendo al confine con il Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise, il territorio matesino è roccaforte di alcuni nuclei di lupi. Non è semplice incontrare il lupo.
Il suo olfatto, ma soprattutto il suo udito gli permettono di avvertire a lungo raggio la presenza di pericoli e dell’uomo. Senz’altro dobbiamo sfatare il mito che i lupi vadano in giro in branchi numerosi, infatti sul nostro territorio un nucleo può essere formato anche da una sola coppia di lupi, che possono riprodursi e allargare il nucleo con i propri cuccioli, ma soltanto per un paio d’anni, fin quando quest’ultimi non avranno raggiunto la capacità di cacciare e la maturità sessuale. Inoltre, il territorio medio di caccia di un nucleo va dai 100 ai 200 kmq, quindi il Matese, data la sua estensione, ne potrebbe ospitare diversi. Molte sono le tracce ritrovate nel tempo da escursionisti e amanti della montagna e sottoposte ad esperti del settore che, nonostante la persecuzione, affermano che il lupo sul Matese non si è mai estinto. Racconti suggestivi di incontri tra pastori e lupi sono all’ordine del giorno: il monte Mutria è uno dei palcoscenici più frequentati dai lupi, come le zone di Bocca della Selva e del monte Pastonico, nelle quali le foreste di faggio restano incontaminate e difficilmente raggiungibili, in maniera tale che i lupi possano sostare nei cosiddetti “rendez-vous site”, ovvero zone particolarmente protette individuate dal nucleo come luogo sicuro. È all’interno di questi siti che la coppia alfa, l’unica che può riprodursi, costruisce la sua tana e dove la femmina dominante dà alla luce tra quattro e nove cuccioli, che andranno a rinfoltire il branco o a creare nuovi nuclei, colonizzando nuovi territori.
Lo studio del lupo è un mix di tecniche molto appassionanti: la più affascinante è sicuramente il ritrovamento di tracce che siano impronta o escrementi o ritrovamenti di pelo. Nei periodi invernali è molto divertente “cercare le piste”, ovvero i camminamenti che spesso i lupi percorrono. Questo è possibile effettuando lo snow tracking con ciaspole (racchette da neve) oppure con gli sci di fondo, alla ricerca anche di escrementi o resti di predazioni. Ma la tecnica in assoluto più emozionante, nonostante i suoi limiti, è sicuramente il “wolf howling”, ovvero l’ascolto degli ululati dei lupi. Il ricercatore si cala proprio nei panni di un lupo, emettendo ululati o utilizzando registrazioni, per censire quanti lupi ci siano in quel territorio, se ci possono essere cuccioli, giovani oppure adulti ( le tonalità di ululato sono differenti), in maniera tale da fare una stima di popolazione e capire anche se il nucleo si sia espanso.
Molte sono le dicerie e credenze affibbiate al lupo. Per ignoranza e pregiudizio il lupo per secoli è stato considerato nocivo e quindi attaccato dall’uomo con ogni mezzo. Eppure, chi non ha mai avuto a che fare con lui dovrebbe sapere che è uno degli animali con il più forte attaccamento ai compagni, con una dedizione assoluta ai cuccioli e alla prole, un’incredibile resistenza fisica e soprattutto fedeltà; infatti, una coppia di lupi rimane fedele fino alla morte.
È doveroso precisare che, per mancanza di fotografie del lupo matesino (esclusa la foto con didascalia), sono state utilizzate foto scattate nel Parco Nazionale d’Abruzzo.
FOTO DI
Francesco Riccio
www.flickr.com/photos/francescoriccio
Pietro Santucci
www.labetullaonline.com