In Canoa come in Alaska sul Lago del Matese

di Michela Di Lemme e Pietro Mastrobuono
foto di Carlo Romano e Agostino Scarselli

12 gennaio 2012

Da poco abbiamo disfatto alberi di Natale e presepi, l’atmosfera delle feste è finita, quella dimensione leggermente surreale legata all’infanzia e al suo ricordo ormai pian piano si affievolisce e torniamo alle nostre giornate scandite dagli impegni quotidiani.
Quel giovedì mattina partiamo presto, fa freddo, ma quando si tratta di fare qualcosa di speciale non esistono sonno o basse temperature che ci trattengano. Il desiderio di riconciliarci con la natura è sempre forte e l’anelito alla sua soddisfazione quasi una droga.

Dopo alcuni chilometri di curve, padrone di questi luoghi di montagna matesina, finalmente arriviamo, parcheggiamo le macchine, prendiamo il necessario, ognuno il suo zaino; per me è la prima volta, e come al solito in queste occasioni ci si affida a chi “ci ospita” e alla sua esperienza. Vedo che Pietro, Ciro, Carlo, Antonella e Camillo sono equipaggiati a dovere e una volta che abbiamo scaricato tutto dalle macchine e dal carrello ci orientiamo verso quelle che saranno le nostre compagne di viaggio: le canoe.

Sono lì che ci attendono silenziose, nella loro silhouette armonica e capiente, accogliente quasi come un grembo materno. Carichiamo ciò che ci sarà utile per la nostra uscita e, armati di buona volontà, solleviamo le canoe e tracciamo solchi lungo il sentiero abbondantemente innevato che ci conduce al Lago del Matese.

È qui che si apre il sipario su uno spettacolo bellissimo e suggestivo, più unico che raro: il Lago del Matese è uno specchio, ma questa metafora non basta per descrivere l’immagine percepita dai nostri occhi, un’immagine che si trasforma in un’emozione, alla quale il silenzio sembra il miglior modo per rendere onore. La nostra navigazione è una carezza dolce sull’acqua, sembra che le pagaie a malapena la sfiorino, lasciando scie morbide fare eco ai nostri movimenti… E siamo lì, al centro di uno specchio d’acqua, circondati dagli alberi innevati e da alcuni casolari tipici dell’ambiente rurale, protetti dal cielo azzurro; siamo anche noi lì, al centro del frammento di specchio contornato dal muschio che fa sognare i bambini, siamo anche noi lì, dentro il nostro presepe.

Non esistono più gli orologi e i suoni artificiali dei telefonini, la velocità del tempo sembra essersi adattata a questa nuova dimensione, come se avesse rallentato, ritrovando un ritmo naturale, seguendo l’alternarsi del silenzio e del suono lento dell’acqua illuminati dal sole. È arrivata l’ora della colazione, Antonello estrae dal vano della nostra ammiraglia una teglia con della buona pizza al pomodoro; anche il cibo ha un profumo diverso, un profumo che merita il tempo necessario per apprezzarlo.

Le nostre voci rispettano il dipinto che stiamo abitando, i nostri occhi osservano ogni forma e colore, assaporiamo ogni attimo di questa mattinata con la totalità dei cinque sensi, sembra che il nostro corpo si sia messo all’ascolto di quest’esperienza con nuovi parametri, come se si fosse fermato un attimo per riordinare le sue percezioni.

Riconciliarsi con la natura ha significato questo, quel 12 gennaio, e significa questo ogni giorno che noi decidiamo di spendere allontanandoci dalle sofisticazioni della città, dedicando a ogni piccola perfezione l’attenzione che merita; accogliendo con spontaneità ogni spunto che la natura di questi splendidi luoghi ci regala per emozionarci ancora, ritrovando il tempo per vivere il tempo.

 

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