Una tradizione che racconta il territorio

Il pane è l’alimento per eccellenza, da sempre il più presente e diffuso in tutte le case, un prodotto capace di raccontare la storia di un territorio e di rievocare alcuni momenti della nostra infanzia.

Una bella pagnotta fumante richiama alla mente l’immagine della nonna occupata in cucina a impastare acqua e farina nella matarca; una volta pronta, si lasciava “crescere” la pasta e si preparavano le fascine per accendere il fuoco e portare il forno alla temperatura desiderata.

Fino a 50/60 anni fa, questo antico processo era alla base del sostentamento di numerose famiglie, soprattutto quelle contadine, che consideravano il pane il bene più prezioso e sacro da mettere sulla tavola. Il pane sfornato si custodiva con cura nella dispensa; era considerato un grave peccato buttare quello avanzato, tant’è che si utilizzava fino all’ultima briciola anche quando ormai era raffermo.

Oggi le abitudini delle famiglie sono cambiate. Il pane abbonda sulle tavole e in commercio si trovano forme e sapori anche molto diversi.

Un principio, però, è sempre valido: il pane migliore è quello che conserva il gusto della tradizione, dato da quel lungo processo di lavorazione che l’uomo esegue in maniera rituale da millenni.

Fortunatamente esistono ancora luoghi e forni dove l’usanza del pane fatto in casa è sempre viva e anche “produttiva”, come a Capriati a Volturno.

Qui, agli inizi degli anni ’60 del secolo scorso, la famiglia Amato ha cominciato a distribuire il pane che produceva in casa, stimolando nel tempo anche la nascita di nuovi laboratori.

Scopriamo così come nasce il pane storico di Capriati.

Gli ingredienti di base sono pochi e semplici: acqua (che qui nel Matese è pura e abbondante), farina e sale. Una volta preparato l’impasto si aggiunge il lievito madre e si lascia crescere una prima volta, mantenendo sempre costante la temperatura del laboratorio. Nel frattempo si prepara il forno. La legna utilizzata è quella di carpino e faggio, alberi che sono molto diffusi nel Matese. Questa scelta è molto importante, perché partecipa a dare un particolare sapore al prodotto finale. Per capire quando è arrivato il momento di infornare, esiste un trucco molto valido. Non si tratta di alta tecnologia ma di un metodo ben collaudato: quando la calotta diventa di colore chiaro, quasi bianco, significa che la temperatura è ottimale.

Compiuta la prima lievitazione si preparano le forme secondo le misure desiderate. Da sempre vengono realizzate due principali pezzature: la pagnotta da tre chili e il filone da un chilo e mezzo.

Come tradizione vuole, il pane casereccio “più grande è, meglio è!”.

Arriva ora il momento della seconda lievitazione. Le forme attendono “con pazienza” di completare la loro crescita avvolte in un panno di cotone. A questo punto si inforna e si lascia cuocere per circa 90 minuti, dopodiché il pane quasi pronto viene fatto colorire per altri 15 minuti a “bocca aperta”.

Si ottiene così l’alimento più antico e importante della storia dell’uomo: il pane… bello fumante e fragrante.

Il profumo dice molto sulla qualità dei prodotti impiegati. Nel nostro caso, viene utilizzata una farina poco raffinata, ottenuta da grano tenero italiano, che conserva molto della sua parte grezza. Il risultato è un bouquet più intenso e un sapore più deciso. Anche la scelta di usare la pasta madre è importante e regala molti vantaggi. Questo lievito naturale si può preparare direttamente in casa e, in rari casi, c’è chi lo eredita dalle passate generazioni. Il pane che ne risulta ha un peso specifico maggiore rispetto ad altri; in compenso ha un sapore inconfondibile, è facilmente digeribile e non procura gonfiore.

Quello di Capriati è un tipo di pane che “migliora invecchiando”. Mantiene, infatti, integri la sua morbidezza e il sapore per diversi giorni… sempre che si riesca a resistere e a non divorarlo tutto subito.

Ringraziamo Il Forno delle Tradizioni per la realizzazione di questo prodotto.